Per sentirmi meno capra, vi propongo un evento: “Sea and coffè”.  La performance di un’amica, una di quelle che ha trovato il suo equilibrio un briciolo sopra la follia, per questo è in perenne evoluzione.

 

“Sea and coffè “

Transition around un “restore”( una carta di Pietroiusti in restauro) en dialugue avec (featuring)
Paola Nannipieri ’s works

A cura di Judith T. Lee Pin and Giuliano Nannipieri
In collaborazione e presso il laboratorio di restauro di Federica Soriani e Massimo Filippelli
Opening sabato ore 18

In partenza dallo studio di viale di Trastevere, Cesare (Peitroiusti) dona a Betty (Elisabetta Nesi) una carta, più esattamente un caffè su carta, una sorta di elegante macchia scorpione ottenuta credo con procedura quasi stocastica. Per accidente, per sorte avversa o forse propizia, non è facile da dirsi questo, la carta suddetta subisce un ulteriore rovescio; no, non quello originario di produzione; infatti pochi giorni prima della morte (causata da un occlusione del coledoco, con conseguente avvelenamento da birobulina) mio padre, già indebolito, lascia cadere sul tavolo un bicchiere di caffè : l’opera di Cesare, che si trovava nei pressi per essere più adeguatamente incorniciata, viene investita da un inaspettato dripping che va confondersi e sovrapporsi al lavoro originario. Cominciamo a riflettere sulle eventuali procedure di restauro, Judith ipotizza una nuova realtà d’opera seguendo un percorso teorico contiguo all’idea dell’arte relazionale, un’opera nuova. Decidiamo di coinvolgere Federica Filippelli Soriano e la chiamiamo al telefono. Federica lavora con il marito Massimo: hanno uno studio di restauro che da anni accoglie il Contemporaneo in restauro. Il giorno seguente portiamo l’opera allo studio e lì Judith vedendo l’opera sul tavolo sente che il lavoro di restauro deve necessariamente passare attraverso procedure relazionali .Si! yeah! Ecco l’idea che subito Federica e Betty sposano con entusiasmo. Tutto il lavoro di Judith ed il mio in questo momento sono articolati intorno al pensiero e al corpo di un paradigma di arte al femminile, fuori dalle logiche di mercato anche espositive. Così potrebbe essere davvero bello se quest’opera in restauro (ma potremmo e possiamo allargare ad altri lavori in restauro questa attività) se quest’opera appunto che è di proprietà di Elisabetta – un‘opera privata è spesso privata anche di visibilità – potesse essere vista anche da altri, e fosse quindi accompagnata da altri lavori, da altre opere che dialogassero con lei, fossero motivo di scambio, di dialogo, si ispirassero anche, si aprissero ad una e più relazioni, mostrassero queste dinamiche: un restauro ovvero una restituzione di visibilità , la natura reale delle opere che invero è quella di essere sempre delle agorà, ovvero dei luoghi di scambio, di incontro, di socializzazione: il possesso capitalizzante, collezionistico ne è la morte o almeno l’invalidante mutilazione. Si decide di coinvolgere un’artista che lavora con le macchie ma non stocasticamente, ottenute piuttosto con controllo, controllate, bordate, rese materiche dalla sabbia e dall’eccesso di vernici in una sorta di incontro fra pop, Burri e cake designe. L’artista è mia sorella, Paola Nannipieri, figlia dell’interattore macchiante l’opera di Cesare che chiamo: al solito mi risponde con una domanda di rito:”ma chi ascolta più le segreterie telefoniche?” beh su una vecchia meil mi ha scritto che “è bello essere usati ed usare” così decidiamo di usarlo senza imbarazzi. Le opere, macchie fissate, onde bloccate con bordi da torta e sabbia inamovibile, opere marine e antistocastiche di Paola sono in dialogo restaurante con la carta doppiamente caffeinica di Cesare (e di nostro padre?). Paola accetta la proposta di usare la macchia scorpionica originaria? come modello per altre opere, quali un grande telo che andrà a coprire un altro grande quadro in restauro, opera che il proprietario sembra non voglia mostrare negando così a quel lavoro un vero restauro ovvero la restituzione di visibilità e l’apertura come piazza, luogo di scambio e di incontro; della materialità ultra relazionale di un lavoro, poco ci interessa, soprattutto se il valore di cura, di bellezza condivisibile che ogni opera porta con sè, non ha la morbidezza, l’eleganza di un cuscino, di un ricamo su una tovaglia, di un rotolo ripiegabile: anche le opere inutilmente rigide perdono la loro natura dura e patriarcale nel farsi oggetti e luoghi di piacevoli, non convenzionali , delicati restauranti incontri. Un grazie a Betti, a Federica e a mia sorella Paola per aver accettato questo dialogo, questo incontro.
Judith T. Lee Pin and Giuliano Nannipieri